Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

giovedì 25 luglio 2013

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Processo a Berlinguer




Federico Caffè

Processo a Berlinguer

“L’Espresso”, 11 aprile 1982.
Federico Caffè, La solitudine del riformista. A cura di Nicola Acocella e Maurizio Franzini.
Bollati Boringhieri, Torino 2008, pp. 138-139.




Processo a Berlinguer



Mi sembra che la caratteristica di maggior rilievo della linea economica del Partito comunista italiano, durante l’ultimo decennio, sia stata quella di un adattamento alle circostanze, in una sostanziale continuità di ispirazione.
Se si prescinde, cioè, dalle polemiche contingenti, lo spirito che condusse Togliatti ad affermare, nell’immediato dopoguerra, che occorreva soprattutto occuparsi della ricostruzione persiste nelle numerose occasioni di appoggio a misure governative rivolte a fronteggiare le difficoltà complesse e continue di questo tormentato decennio.
Nei fatti, malgrado ogni diversa apparenza, può dirsi che le forze progressiste del Partito comunista abbiano accettato un’effettiva, sia pure non dichiarata, politica dei redditi.
S’intende che ciò rispondeva al fine politico di una sempre attesa, e sempre rinviata, legittimazione del Partito comunista come forza di governo.
Ma ciò non toglie che alla critica sia stata associata una collaborazione che non può essere sottovalutata, in quanto ha contribuito, a mio avviso, al superamento delle vicissitudini congiunturali, pur lasciando irrisolti i nodi strutturali della nostra economia.

Gli effetti sull’economia italiana sono stati, pertanto, quelli di un apporto di rilevante importanza a una gestione dell’economia di corto respiro, che va avanti giorno per giorno, ma senza che siano in vista traguardi plausibili.
Frattanto, la critica del cosiddetto assistenzialismo, in quanto si presta a deformazioni clientelari; il ripudio di ogni richiamo alla valorizzazione dell’economia interna, in quanto ritenuta contrastante con la “scelta irrinunciabile” dell’economia aperta; il frequente indulgere al ricatto allarmistico dell’inflazione, con apparente sottovalutazione delle frustrazioni e delle tragedie ben più gravi della disoccupazione, costituiscono orientamenti che, seguiti da una forza progressista come quella del Partito comunista, anche se in modo occasionale e non univoco, possono contribuire ad allontanare, anziché facilitare, le incisive modifiche di fondo che sono indispensabili al nostro paese.
In ultima analisi, ho l’impressione che l’acquisizione del consenso stia diventando troppo costosa, in termini di sbiadimento dell’aspirazione all’egualitarismo, della lotta all’emarginazione, dell’erosione di posizioni di privilegio: aspirazioni che si identificano in quel tanto di socialismo che appare realizzabile nel contesto del capitalismo conflittuale con il quale è tuttora necessario convivere.


[FINE]


martedì 23 luglio 2013

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Verso il IV Reich



Michael Burda

Redesigning the ECB with regional rather than national central banks

VoxEU.org,15 July 2013.
Pubblicazione disponibile  qui.  


Verso il IV Reich.                                                              Riprogettare la BCE con banche centrali regionali anziché nazionali

[ Traduzione di Giorgio D.M. ]


Le banche centrali nazionali della zona euro che adottano un punto di vista nazionale rischiano di politicizzare la politica monetaria della Banca Centrale Europea (BCE). Questo articolo sostiene che questo sia un rischio significativo che deve essere evitato con una revisione radicale del sistema delle banche centrali della zona euro. Un elemento centrale di questa revisione deve essere la soppressione della nazionalità delle banche centrali nazionali della zona euro. Come negli Stati Uniti le banche regionali del sistema della Federal Reserve comprendono più di uno stato, così l’area di responsabilità delle banche centrali “nazionali” della zona euro deve essere ridisegnata lungo linee geografiche anziché lungo linee nazionali. Si fornisce un esempio di una proposta di questo tipo.


L’unione monetaria è sempre stata un grande azzardo. 
Essa ha stabilito la Banca Centrale Europea al centro di un immensa regione che di per sé non era uno Stato - facendone una istituzione trans-europea con doveri di governo che non rappresenta alcun governo in particolare.

I padri fondatori dell’euro non previdero tutte le conseguenze che sarebbero nate da questa peculiarità.
Infatti, ogni espansione della zona euro ha condotto a un automatico allargamento del consiglio della BCE, senza considerare l’incremento della complessità del suo governo e della definizione della politica monetaria, incluse le condizioni alle quali finanziare i governi o rifinanziare le banche commerciali private.
Per superare questi problemi di governo radicati è necessaria una profonda revisione del sistema delle banche centrali della zona euro.
Un elemento centrale di questa riforma deve essere una ridefinizione dei confini delle banche centrali che costituiscono la Banca Centrale Europea.

In una unione monetaria, gli interessi nazionali possono divergere nel tempo come capita agli interessi regionali.
Gli economisti hanno avvertito sin dall’inizio del progetto dell’euro che una politica monetaria unica è una fonte di rischio, specialmente quando l’aggiustamento è necessario e la svalutazione del tasso di cambio non è più possibile.
L’aggiustamento in una unione monetaria è doloroso - come gli sviluppi nella periferia europea hanno reso molto chiaro - così la cosa migliore è innanzitutto prevenire il verificarsi di questi disallineamenti.
Nonostante questi avvertimenti, i politici europei hanno insistito per un sistema viziato da difetti fondamentali.

Una politica monetaria comune deve essere formulata al di sopra e al di là delle preoccupazioni delle singole nazioni. Tuttavia, poiché le banche centrali nazionali della zona euro hanno la una grande possibilità di influire sulla politica monetaria della Banca Centrale Europea - di fatto, esse possiedono la BCE - esse costituiscono la fonte di un rischio significativo.

Un esempio di questo è la loro ben nota riluttanza a imporre un “taglio” al valore delle garanzie che le banche private della nazione che rappresentano utilizzano per finanziare le loro attività di credito.

Questo è uno dei pochi freni naturali all’indebitamento dei governi, specialmente quando l’indebitamento è la conseguenza di una politica fiscale incosciente.
In questo senso, la BCE avrebbe dovuto applicare questo freno molto prima, non appena divenne chiaro a metà degli anni duemila che le nazioni del Sud Europa stavano perdendo competitività e che i governi non stavano agendo per ridurre la spesa nazionale.

Sulla base di un qualsiasi normale conto, le banche greche, per fare un esempio, avrebbero dovuto subire questo vincolo nel 2003-2004, dato che il governo e il settore privato greci erano già sovraesposti.
Una restrizione dei flussi di credito verso le banche greche e gli altri intermediari finanziari in quel momento avrebbe ridotto la crescita della domanda aggregata e il deterioramento della competitività che stava già emergendo.
La politica del tasso di interesse unico vantata dall’allora presidente della BCE Trichet mandò esattamente il segnale sbagliato ai mercati.

Quando i mercati si accorsero di cosa stava succedendo, i governi che erano stati fino ad allora in grado di indebitarsi alle stesse condizioni della Germania avevano visto un drastico deterioramento della loro competitività.
Ma allora era troppo tardi.
Dopo l’aggiustamento, la Banca Centrale Europea era così preoccupata di puntellare la salute finanziaria del sistema nel suo insieme che non fu capace di applicare seri tagli a nessun singolo paese, sebbene i rating dei governi, i rendimenti dei titoli di Stato e la disponibilità di credito a quel punto erano diventati significativamente divergenti.

In breve, la ri-politicizzazione della politica monetaria attraverso le banche centrali nazionali pone un rischio significativo per una ulteriore integrazione economica oltre che per una politica monetaria e creditizia neutrale (che non guardi agli effetti sulle singole nazioni) nella zona euro

Come mettere a punto il sistema

Il rimedio logico è una riprogettazione della Banca Centrale Europea compiuta adottando un modello simile a quello del sistema della Federal Reserve degli Stati Uniti (Figura 1).
Le banche regionali della Federal Reserve rappresentano ampie porzioni di territorio che si estendono al di là dei confini dei singoli stati e talvolta addirittura li attraversano.

I problemi con la Bilancia dei pagamenti e i disallineamenti di competitività tra i diversi distretti della Federal Reserve si verificano, ma essi sono apolitici e immuni dalle pressioni dei parlamenti degli stati.
Le banche regionali della Federal Reserve hanno poco o nulla a che fare con le finanze dei singoli stati, e il salvataggio di uno stato da parte di una banca regionale della FED non è una opzione.


Figura 1. I dodici distretti del Federal Reserve System

  


Che 49 stati degli Stati Uniti abbiano approvato restrizioni costituzionali sul finanziamento in deficit delle spese correnti implica che questa politica di non salvataggio è credibile.
La Figura 2 presenta un esempio di una ripartizione dell’autorità monetaria della zona euro lungo le linee delle già esistenti regione amministrative dell’Unione Europea (NUTS-2).
Questa riprogettazione della Banca Centrale Europea, che intenzionalmente attraversa le frontiere nazionali dei paesi più grandi, aiuterebbe il ristabilimento di una allocazione della moneta e del credito neutrale e indipendente politicamente.

Il numero dei consiglieri rappresentanti i distretti potrebbe essere basato sulla popolazione o sul PIL.
Gli organi di governo della nuova Banca Centrale Europea potrebbero ricevere una legittimazione democratica del Parlamento Europeo all’atto della loro nomina da parte delle autorità nazionali.


Figura 2. Una proposta per la ripartizione della zona euro























Anziché essere penalizzate, le nazioni più piccole beneficerebbero della riduzione della naturale egemonia degli Stati membri più grandi.
L’eredità delle carenze dell’attuale status quo - i saldi Target2 nei bilanci delle banche centrali nazionali - potrebbero essere suddivisi equamente tra i distretti della nuova BCE pro quota sulla base della popolazione delle corrispondenti regioni amministrative o del loro PIL, e perderebbero immediatamente la loro rilevanza politica.

L’eliminazione delle influenze nazionali sulla politica monetaria incrementerebbe l’efficienza e la funzionalità dell’unione monetaria.
Una struttura neutrale, basata sul mercato, per l’allocazione del credito della banca centrale alle singole banche è essenziale per una unione bancaria funzionante.
Regole rigorose per il taglio del rifinanziamento delle banche presso la BCE sulla base del merito di credito costringerebbe i paesi membri a applicare una maggiore disciplina alle finanze nazionali, rendendo possibile un credibile ritorno al principio di non salvataggio contenuto nel Trattato Europeo.
L’esplosione degli squilibri dei saldi Target2 nel corso degli ultimi cinque anni sarebbe stata prevenuta fin dall’inizio da una applicazione equanime delle restrizioni sulle garanzie e sulla leva, allineando i tassi di interesse locali con gli squilibri dei finanziamenti e anche contrastando sin dal loro inizio le bolle in Irlanda e Spagna.
I salvataggi orientati in senso nazionale come i programmi Long Term Refinancing Operations e Outright Monetary Transactions diverrebbero una cosa del passato. Così le palesi pressioni delle banche centrali nazionali - come abbiamo visto nel caso della Bundesbank - contro misure di politica monetaria della BCE che si presumono indipendenti.

Osservazioni conclusive

Questo prossimo passo sarà il più difficile lungo il percorso dell’integrazione europea e comporterà anche un sempre maggiore impegno nel progetto della moneta unica - un vero e proprio passaggio del Rubicone.
Tuttavia, per assicurare il futuro sostenibile di una politica monetaria veramente indipendente e neutrale - e nell’interesse del mandato di lungo periodo della BCE del mantenimento della stabilità dei prezzi - esso è indispensabile.
Senza il compimento di passi credibili verso la de-politicizzazione della politica monetaria, è improbabile che l’euro nella sua forma attuale possa sopportare gli shock macroeconomici nei prossimi anni.


[FINE]


domenica 21 luglio 2013

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Banche centrali e debito pubblico




Paul De Grauwe & Yuemei Ji

Fiscal implications of the ECB’s bond-buying programme

VoxEU.org, 14 June 2013.
Pubblicazione disponibile qui.



Banche centrali e debito pubblico

[ Traduzione di Giorgio D.M. * ]


La relazione tra la politica monetaria e la politica fiscale è sottoposta all’esame della Corte Costituzionale tedesca che dovrà esprimersi sul programma OMT di acquisto di titoli di Stato annunciato dalla Banca Centrale Europea (BCE). Questo articolo sostiene che la massima parte delle analisi sono profondamente viziate dalla errata applicazione alle banche centrali dei principi sulla inadempienza che si applicano alle imprese private. L’acquisto di titoli di Stato da parte della Banca Centrale Europea trasforma i titoli di Stato in base monetaria e il rischio di inadempienza degli Stati in un rischio di inflazione. La vera questione è: fino a che punto la base monetaria può essere incrementata senza provocare un aumento dell’inflazione? Questo limite dipende dalla situazione economica ed è molto più elevato nella attuale condizione di trappola della liquidità.


C’è molta confusione a proposito delle conseguenze fiscali del programma di acquisto di titoli di Stato - le OMT, o Outright Monetary Transactions [Transazioni monetarie dirette] - che la Banca Centrale Europea ha annunciato lo scorso anno.
Questa confusione nasce principalmente perché si applicano alle banche centrali i principi che regolano la solvibilità [solvency]  delle imprese private (comprese le banche).
Il livello della confusione è tale che il presidente della Bundesbank si è rivolto alla Corte Costituzionale tedesca sostenendo che il programma OMT della Banca Centrale Europea comporterebbe la possibilità che i cittadini tedeschi debbano dover pagare delle tasse per coprire le potenziali perdite alle quali la Banca Centrale Europea potrebbe andare incontro.
In questo articolo noi sosteniamo che i timori che i contribuenti tedeschi possano essere chiamati a coprire le perdite subite dalla BCE sono fuori luogo.
Questi timori sono basati su di una incomprensione dei problemi di solvibilità che le banche centrali affrontano.
In realtà, proprio i contribuenti tedeschi sono i principali beneficiari di questo programma di acquisto di titoli di Stato.

Solvibilità delle banche centrali e solvibilità delle imprese private: la principale differenza

Le imprese private sono considerate solvibili quando il loro capitale proprio è positivo, cioè quando il valore delle loro attività è maggiore del valore dei loro debiti.
La solvibilità di una impresa privata può essere espressa anche nei termini del massimo ammontare di perdite che l’impresa può assorbire in un qualsiasi istante temporale.
Così, un’impresa privata è considerata solvibile quando le sue perdite non sono maggiori del valore del suo capitale proprio.
Poiché in un mercato efficiente il capitale proprio è [valutato dal mercato come] pari al valore presente dei profitti futuri, giungiamo al vincolo di solvibilità che impone che le perdite attuali non possono eccedere il valore attuale dei profitti futuri attesi.

I problemi sorgono quando questi vincoli di solvibilità sono applicati alle banche centrali.
Questa errata applicazione dei principi che valgono per i privati ha condotto alcuni a concludere che le perdite che la BCE (o una qualsiasi altra banca centrale) può sopportare non devono eccedere il valore presente dei profitti futuri attesi derivanti dal signoraggio (si veda Corsetti & Delada, 2013).
In modo simile, talvolta si conclude che una banca centrale ha bisogno di un capitale proprio positivo per rimanere solvibile (Stella, 1997; Bindseil et al., 2004).
Questi vincoli di solvibilità non devono essere applicati alla banca centrale; le banche centrali non possono diventare inadempienti.
Una banca centrale può emettere qualsiasi ammontare di moneta sia necessario per consentirle di “ripagare i suoi creditori”, cioè i possessori della moneta. 1
Questo “ripagamento” consisterebbe semplicemente nella conversione della vecchia moneta in nuova moneta.
Al contrario di ciò che avviene per le imprese private, le passività della banca centrale non costituiscono un diritto sulle attività della banca centrale.
Questo avveniva durante il gold standard quando la banca centrale prometteva di convertire le sue passività in oro a un prezzo prefissato. In modo simile, in un sistema di cambi fissi, la banca centrale promette di convertire le sue passività in valuta estera a un prezzo prefissato.
La Banca Centrale Europea e altre banche centrali moderne che operano in un sistema di cambi flessibili non fanno promesse di questo tipo.
Il valore delle attività della banca centrale non ha di conseguenza alcuna importanza per la sua solvibilità.
L’unica promessa fatta da una banca centrale in un regime di cambi flessibili è che la moneta sarà convertibile in un insieme di beni e servizi a un prezzo (più o meno) fisso. In altre parole, la banca centrale promette la stabilità dei prezzi.
Questo è tutto.

Il signoraggio non è un limite

Dunque non ha alcun senso affermare che il limite alle perdite che una banca centrale può sopportare sia in un qualsiasi istante temporale dato dal valore presente dei profitti futuri (signoraggio).
Non esiste un tale limite.
La banca centrale può sopportare qualsiasi perdita purché essa non metta in pericolo la sua promessa di mantenere la stabilità dei prezzi.

Non è corretto neppure affermare che la banca centrale debba mantenere un capitale proprio positivo per “rimanere solvibile”.
Una banca centrale non ha alcuna necessità di un capitale proprio.
L’affermazione che talvolta viene fatta che una banca centrale con capitale proprio negativo debba essere ricapitalizzata dal Tesoro è perciò priva di senso.

Per essere chiari:
La banca centrale (che non può diventare inadempiente) non ha alcuna necessità di un sostegno fiscale da parte dello Stato (che può diventare inadempiente).
L’unico sostegno che la banca centrale deve ricevere dallo Stato consiste nel fatto che lo Stato deve assicurare alla banca centrale il potere monopolistico di emettere la moneta nel territorio sul quale lo Stato ha giurisdizione.
Con questo potere assicuratole dallo Stato, la banca centrale è libera da qualsiasi vincolo di solvibilità.

Applichiamo ora questi primi principi alla questione di come un programma di acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale possa avere delle conseguenze fiscali.
Discutiamo inizialmente la situazione della banca centrale che si confronta con un solo Stato. Discuteremo poi il problema della banca centrale che, in una unione monetaria, si confronta con più Stati.

La banca centrale di una nazione indipendente

Considereremo il caso di una banca centrale che acquista titoli di Stato sul mercato secondario. 2
Acquistando titoli di Stato, la banca centrale trasforma la natura del debito del settore pubblico.
Quando la banca centrale acquista il debito del suo Stato, il debito viene trasformato:
Il debito pubblico, gravato da un tasso di interesse e da un rischio di inadempienza, diviene una passività monetaria della banca centrale (cioè base monetaria), priva di rischio di insolvenza ma soggetta al rischio di inflazione.
Per comprendere le conseguenze fiscali di questa trasformazione è importante considerare insieme, consolidare, la banca centrale e lo Stato (dopotutto essi sono parti diverse dello stesso settore pubblico).
Dopo la trasformazione operata con l’acquisto da parte della banca centrale, il debito pubblico posseduto dalla banca centrale si cancella.
E’ ora una attività di una parte del settore pubblico (la banca centrale) e una passività di un’altra parte del settore pubblico (lo Stato). Esso perciò scompare.
La banca centrale può ancora registrarlo nei suoi bilanci ma il debito pubblico che ha acquistato non ha più alcun valore economico.
Infatti la banca centrale potrebbe porre termine a questa finzione ed eliminare il debito pubblico in suo possesso dal suo bilancio e di conseguenza lo Stato potrebbe cancellarlo dall’ammontare del suo debito.
Il debito pubblico posseduto dalla banca centrale è divenuto privo di valore perché è stato sostituito da un nuovo tipo di debito, cioè dalla moneta, che è sottoposta a un rischio di inflazione anziché a un rischio di inadempienza.
Questo è il motivo per il quale non ha alcun senso dire che le banche centrali sopportano delle perdite quando il prezzo di mercato dei titoli di Stato diminuisce.
Se c’è una perdita per la banca centrale essa è compensata da un uguale profitto per lo Stato (il valore di mercato del suo debito diminuisce nella stessa misura).
Non c’è alcuna perdita per il settore pubblico.

Il debito pubblico posseduto dal settore pubblico è differente

Arriviamo a una conclusione importante:
Una volta che la banca centrale ha acquistato i titoli di Stato, una diminuzione del valore di mercato di questi titoli non ha conseguenze fiscali.
La perdita subita da una parte del settore pubblico (la banca centrale) è compensata da un pari guadagno conseguito da un’altra parte del settore pubblico (il governo), non rimane nulla che i contribuenti debbano pagare.
Questo può essere visto anche considerando i flussi degli interessi relativi ai titoli di Stato posseduti dalla banca centrale.
Per esempio, supponiamo che la banca centrale abbia acquistato titoli di Stato per un miliardo di euro e che questi paghino una cedola annuale del 4%. La banca centrale che possiede questi titoli nel suo bilancio riceve quindi ogni anno 40 milioni di euro dallo Stato [4% x 1.000 = 40] in pagamento degli interessi.
La regola per la tenuta dei registri contabili prevede che questi interessi siano registrati come profitti della banca centrale.
Alla fine dell’anno però la stessa banca centrale dovrà girare allo Stato i suoi profitti.
Supponendo che il costo marginale della gestione di questo portafoglio di titoli sia nullo [cioè che la banca centrale non sostenga dei costi addizionali per la gestione di questi titoli di Stato], la banca centrale girerà 40 milioni di euro allo Stato.
Questa è la mano sinistra che paga la destra, per così dire.
Questa regola per la tenuta dei registri contabili ha condotto a considerare come signoraggio il reddito derivante dall’incasso degli interessi. Ma non lo è. Non c’è alcun profitto per il settore pubblico considerato nel suo complesso.
Il profitto della banca centrale è esattamente compensato da una perdita dello Stato. [E il profitto della banca centrale è poi girato allo Stato]. Entrambi potrebbero abolire questa convenzione contabile perché non c’è alcuna sostanza economica dietro a queste perdite e a questi profitti.
E’ vero in senso letterale che la banca centrale potrebbe mettere i titoli di Stato nel tritacarte; non si perderebbe nulla.
Nel nostro esempio, la banca centrale smetterebbe di ricevere 40 milioni di euro all’anno dallo Stato, e smetterebbe di pagare 40 milioni di euro all’anno allo Stato.

Cosa succede se lo Stato diviene inadempiente sui titoli che ha emesso?
L’inadempienza dello Stato provoca delle perdite per i privati che possiedono i suoi titoli.
Ma non ha alcuna conseguenza per quanto riguarda i titoli di Stato posseduti dalla banca centrale.
Dopo l’inadempienza [default] dello Stato, i titoli posseduti dalla banca centrale valgono zero, ma essi erano già privi di valore prima di essa. E’ la mano destra che prende indietro dalla mano sinistra.
Si pensi a questo in termini dei flussi degli interessi.
Dopo l’inadempienza dello Stato, la banca centrale smette di ricevere il pagamento degli interessi dallo Stato, ma nello stesso tempo essa smette di riversare questi stessi interessi allo Stato.
Nulla è avvenuto nel settore pubblico. Quindi le perdite che la banca centrale accumula come conseguenza dell’inadempienza dello Stato non hanno conseguenze fiscali.

La stabilità dei prezzi e l’inadempienza del settore pubblico

C’è un problema quando si giunge a considerare la stabilità dei prezzi e il suo legame con una inadempienza dello Stato.
Se la banca centrale mantiene le sue passività (la base monetaria) sotto controllo, l’inadempienza dello Stato di per sé non conduce a una più alta inflazione.
Una inflazione più elevata si verificherà solo se lo Stato dovesse costringere la banca centrale a emettere una quantità maggiore delle sue passività monetarie, cioè a finanziare i deficit di bilancio correnti che, dopo che lo Stato si sarà reso inadempiente, non potranno più essere finanziati con l’emissione di titoli di Stato.
Si sostiene talvolta che se la banca centrale non possiede attività (a causa dell’inadempienza dello Stato) allora essa non ha più alcuno strumento per ridurre la quantità della moneta.
Cosa che potrebbe essere talvolta necessaria per ridurre le spinte inflazionistiche.
Questa posizione fa acqua da tutte le parti.
Ci sono due modi con i quali la banca centrale può ridurre la quantità della moneta, pur non possedendo attività.
In primo luogo, la banca centrale può essa stessa emettere titoli che paghino un interesse e venderli sul mercato.
Questo ha l’effetto di ridurre la liquidità (la base monetaria).
In secondo luogo, la banca centrale può innalzare la riserva minima obbligatoria che le banche devono detenere.
In questo modo si ha il risultato di “disattivare” la quantità di liquidità esistente, ottenendo lo stesso effetto di una riduzione della base monetaria.

La banca centrale di una unione monetaria

Le cose sono più complicate in una unione monetaria che non sia anche una unione fiscale.
In questo caso le conseguenze fiscali di un acquisto di titoli di Stato da parte della banca centrale sono più complicate.
Il punto cruciale è l’esistenza di “n” Stati.
Nella zona euro, n = 17 (e presto sarà pari a 18 con la Lettonia).
Se potessimo consolidare la Banca Centrale Europea e i 17 Stati in un unico settore pubblico, l’analisi procederebbe senza modifiche come nei paragrafi precedenti.
Ma non possiamo; la zona euro non è una unione fiscale.
Di conseguenza, un programma di acquisto di titoli di Stato comporterà dei trasferimenti tra le nazioni che partecipano all’unione monetaria.
Per chiarire le idee su questo problema, assumiamo che la BCE acquisti titoli di Stato spagnoli per un miliardo di euro con una cedola del 4%.
Le conseguenze fiscali sono ora le seguenti:
La BCE riceve ogni anno interessi per 40 milioni di euro dallo Stato spagnolo.
La BCE restituisce ogni anno questi 40 milioni di euro alle banche centrali nazionali della zona euro.
La distribuzione avviene pro quota secondo le quote azionarie che ciascuna banca centrale possiede del capitale della BCE (si veda ECB 2012).
Le banche centrali nazionali trasferiscono quello che incassano ai rispettivi Stati.
Nel nostro esempio, la BCE restituirà l’11,9% dei 40 milioni di euro al Banco de España.
Il resto andrà alle altre banche centrali della zona euro.
La quota maggiore andrà alla Bundesbank tedesca, che con la sua quota pari al 27,1% riceverà 10,8 milioni di euro.
Così, in una unione monetaria (e in assenza di una unione fiscale) un programma di acquisto di titoli di Stato conduce a trasferimenti fiscali tra i diversi paesi -  ma non a quelli che il pubblico si immagina comunemente, specialmente in Germania.
Un programma di acquisto di titoli di Stato da parte della BCE conduce a un trasferimento annuale di capitali dalle nazioni i cui titoli di Stato sono acquistati verso le nazioni i cui titoli di Stato non sono acquistati.
Si deve notare che la Banca Centrale Europea può implementare un programma di acquisto di titoli di Stato che eviti [questo tipo di] trasferimenti fiscali tra i diversi Stati acquistando i titoli dei diversi Stati nella stessa proporzione della partecipazione delle rispettive banche centrali nazionali al capitale della BCE.
Un programma di questo tipo è stato in realtà proposto qualche volta.
Ma questo non eliminerebbe del tutto i trasferimenti perché i tassi di interesse sui titoli di Stato emessi non sono gli stessi per tutti i paesi.
Infatti, gli Stati che pagano i tassi di interesse più elevati, anche in questo programma di acquisto di titoli di Stato bilanciato, sarebbero dei pagatori netti di interessi agli Stati che pagano i tassi di interesse più bassi
Così, anche un programma di acquisto di titoli di Stato bilanciato tenendo conto delle quote di proprietà del capitale della Banca Centrale Europea possedute da parte delle Banche Centrali Nazionali comporterebbe dei trasferimenti fiscali dagli Stati più deboli (debitori) agli Stati più forti (creditori).

Cosa succede se uno Stato diventa inadempiente?

Si sente spesso dire nei paesi creditori [come la Germania] che questi paesi sarebbero danneggiati se uno degli Stati i cui titoli sono nel bilancio della BCE dovesse diventare inadempiente.
Questa è una conclusione errata.
Tornando al nostro esempio di un acquisto da parte della BCE di titoli di Stato spagnoli per un miliardo di euro, consideriamo una inadempienza della Spagna su questi titoli.
Lo Stato spagnolo smette di pagare 40 milioni di euro di interessi alla BCE
La BCE smette di trasferire questi interessi alle banche centrali della zona euro pro quota
I contribuenti tedeschi, ad esempio, non ricevono più la loro manna annuale di 10,8 milioni di euro
In nessun modo si può concludere che i contribuenti tedeschi, o i contribuenti di un qualsiasi altro paese della zona euro, pagherebbero il conto di una inadempienza della Spagna - tranne che nel senso stretto che essi non potrebbero più contare su un flusso annuale di interessi.

C’è certamente la possibilità di una tassa dovuta all’inflazione.
Abbiamo osservato in precedenza che, con un programma di acquisto di titoli di Stato, il debito che paga un interesse è trasformato in una passività della Banca Centrale Europea (la base monetaria)
Questo solo fatto potrebbe condurre all’inflazione, e così a una tassa dovuta all’inflazione alla quale sarebbero sottoposti tutti i possessori di euro.
Questo conduce al problema di quanto ampio possa essere il programma di acquisto di titoli di Stato della BCE senza generare dell’inflazione aggiuntiva.

Dalla tassazione esplicita alla tassa dovuta all’inflazione

Ogni operazione di mercato aperto che comporti l’acquisto di titoli di Stato crea il potenziale di una maggiore inflazione perché incrementa la base monetaria.
La questione chiave che dobbiamo porci è come l’incremento della base monetaria si trasmetta alla quantità della moneta. Dopotutto è la quantità della moneta e non la base monetaria di per sé che determina l’inflazione.

Nella Figura 1 mostriamo l’evoluzione della base monetaria [money base] e della quantità della moneta [money stock] (M3) nella zona euro a partire dal 2004.
Si nota una impressionante differenza tra il periodo precedente la crisi bancaria dell’ottobre del 2008 e il periodo successivo.
Prima della crisi globale, i due aggregati monetari si muovevano all’unisono, suggerendo che il moltiplicatore della moneta (il rapporto tra la quantità della moneta e la base monetaria) fosse costante.
Un incremento della base monetaria dell’1% condusse a un incremento della quantità della moneta di circa l’1%.
Le cose sono profondamente diverse durante il periodo della crisi.

Figura 1. Base monetaria (Money base) e quantità della moneta (money stock, M3) nella zona euro (Dicembre 2007 = 100)
 
  Fonte: European Central Bank, Statistical Warehouse.

Nel periodo tra l’ottobre del 2008 e l’aprile del 2013, la relazione tra la base monetaria e la quantità della moneta si è spezzata.
La base monetaria è aumentata di più del 50%; la quantità della moneta è aumentata solo del 7%.
Questo suggerisce che il moltiplicatore della moneta è diminuito drammaticamente.
Questa diminuzione drammatica del moltiplicatore della moneta è completamente dovuta alla trappola della liquidità (Krugman, 2010).
Le banche, che accumulano riserve grazie alle iniezioni di liquidità della BCE, tesoreggiano queste riserve.
Il grado di avversione al rischio delle banche è tale che esse non usano le loro riserve di liquidità per espandere il credito bancario.
Di conseguenza la quantità della moneta (M3) non aumenta.

Anche la Figura 2 è istruttiva.
Essa mostra il tasso in inflazione annuale medio  e il tassi di crescita annuali medi della base monetaria e della quantità della moneta prima e dopo la crisi bancaria del 2008.
Prima del 2008 entrambi gli aggregati monetari crescevano praticamente allo stesso tasso; il tasso di inflazione annuale era il 2,3%.
Dal 2008 i tassi di crescita degli aggregati monetari divergono drammaticamente.
La base monetaria cresce a un tasso annuale dell’11% mentre il tasso di crescita della quantità della moneta crolla a meno del 2% e l’inflazione cade al di sotto del 2%

La nostra interpretazione è che la forte crescita della base monetaria ha aiutato a ridurre le spinte verso la deflazione nell’economia, piuttosto che essere una fonte di inflazione. 3

Figura 2. Inflazione, tassi di crescita (medi annuali) della base monetaria (MB) e dell’M3
 

Fonte: European Central Bank, Statistical Warehouse.


Conclusioni

L’analisi svolta suggerisce le seguenti conclusioni:
I limiti a un programma di acquisto dei titoli di Stato dipendono dalla natura della situazione economica e finanziaria, cioè dall’esistenza di una trappola della liquidità.
Nei tempi normali, quando un incremento della base monetaria conduce a un proporzionale incremento della quantità della moneta, il limite a un programma di acquisto dei titoli di Stato è stretto
Se l’obiettivo per l’incremento della quantità della moneta è il 4,5% (come nel caso della zona euro dove si ritiene che un obiettivo del 4,5% conduca a un tasso di inflazione massimo del 2%) questo significa anche che la base monetaria non deve aumentare più del 4,5% all’anno.
Ma allora in condizioni normali non c’è che una piccolissima necessità di un programma di acquisto dei titoli di Stato
La situazione è cambiata drammaticamente sin dall’inizio della crisi delle banche.
Durante il periodo di crisi i limiti alla base monetaria che può essere creata senza innescare pressioni inflazionistiche è molto più elevato per l’esistenza di una trappola della liquidità.
Quanto sia più elevato dipende dal moltiplicatore della moneta.
Nell’articolo che abbiamo scritto (De Grauwe & Ji 2013) stimiamo il valore del moltiplicatore durante il periodo di crisi e concludiamo che esso sia collassato a zero.
Non c’è di conseguenza alcun limite all’ampiezza del programma di acquisto di titoli di Stato, cioè la BCE può acquistare qualsiasi ammontare di titoli di Stato senza mettere in pericolo la stabilità dei prezzi, finché la crisi dura.


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Riferimenti
Bindseil U., Manzanares A., & Weller, A. (2004). "The Role of Central Bank Capital Revisited", Working Paper Series, no. 392, European Central Bank, September.
Buiter, W. (2008). "Can Central Banks Go Broke?", CEPR Policy Insight 24, 16 May.
Corsetti, G., & Dedola, L. (2013). "Is the euro a foreign currency to member states?", VoxEU.org, 5 June.
De Grauwe, P.,& Ji, Y. (2013). "Fiscal Implications of the ECB’s Bond Buying Program (OMT)", University of Leuven, mimeo.
European Central Bank (2012). "Capital subscription", ECB.int, 27 December.
Friedman, M. & Schwartz, A. (1961). A Monetary History of the US, Princeton University Press, Princeton.
Krugman, P. (2010). "Debt Deleveraging and the Liquidity Trap", VoxEU.org, 18 November.
Pringle, R. (2003). "Why central banks need capital", Central Banking Journal, August.
Stella, P. (1997). "Do Central Banks Need Capital?", IMF Working Paper, no 83, International Monetary Fund, Washington, DC.

Note
1 Assumiamo qui che la banca centrale non possieda passività in valuta estera. Se le possedesse la banca centrale potrebbe essere spinta verso l’inadempienza su queste passività in valuta estera perché essa può emettere solo passività nella valuta nazionale (Buiter, 2008).
2 Dunque non discutiamo del finanziamento monetario diretto dei deficit di bilancio dello Stato.
3 Si vedano Friedman e Schwartz (1961) per un’analisi della Grande Depressione negli Stati Uniti. Questi autori sostennero che la Federal Reserve degli Stati Uniti fallì allora nell’incrementare la base monetaria in modo sufficiente per contrastare le spinte verso la deflazione. La quantità della moneta negli Stati Uniti di conseguenza di fatto diminuì, rinforzando la deflazione.

 
[FINE]
 

* Il testo tra parentesi quadrate è aggiunto.