Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

sabato 31 dicembre 2016

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Il paradosso di Cartier




Frantz Fanon

I dannati della Terra

1961. Traduzione di Carlo Cignetti. Giulio Einaudi editore, Torino 1967, pp. 147-148.


Il paradosso di Cartier



Oggi si sa che nella prima fase della lotta nazionale, il colonialismo cerca di disinnescare la rivendicazione nazionale facendo dell’economismo.
Fin dalle prime rivendicazioni il colonialismo simula la comprensione, riconoscendo con ostentata umiltà che il territorio soffre di sottosviluppo grave esigente uno sforzo economico e sociale cospicuo.

E, di fatto, accade che certe misure spettacolari, cantieri per disoccupati aperti qua e là, ritardino di qualche anno la cristallizzazione della coscienza nazionale.
Ma presto o tardi il colonialismo si accorge che non gli è possibile attuare un progetto di riforme economico-sociali che soddisfi le aspirazioni delle masse colonizzate.
Anche sul piano del ventre, il colonialismo dà prova della sua impotenza congenita.
Lo Stato colonialista scopre molto rapidamente che voler disarmare i partiti nazionali nel campo strettamente economico equivarrebbe a fare nelle colonie quel che non ha voluto fare sul suo stesso territorio.
E non è un caso se fiorisce oggi un po’ dappertutto la dottrina del cartierismo.

L’amarezza disillusa di Cartier [1] di fronte all’ostinazione della Francia a cattivarsi gente che dovrà nutrire mentre tanti francesi vivono in ristrettezze, traduce l’impossibilità in cui si trova il colonialismo di trasformarsi in programma disinteressato di aiuto e d’appoggio.
Perciò, ancora una volta, non bisogna perdere tempo a ripetere che è meglio fame in dignità che pane in servitù.
Occorre invece convincersi che il colonialismo è incapace di procurare al popolo colonizzato le condizioni materiali suscettibili di fargli dimenticare la sua preoccupazione di dignità.
Una volta che il colonialismo ha capito dove lo trascinerebbe la sua tattica di riforme sociali, lo si vede ritrovare i suoi vecchi riflessi, rinforzare gli effettivi di polizia, spedire truppe e impiantare un regime di terrore più consono ai suoi interessi ed alla sua psicologia.


[FINE]


[1]                 https://it.wikipedia.org/wiki/Raymond_Cartier



sabato 10 dicembre 2016

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All'Italia



Giacomo Leopardi

All’Italia

Recanati, settembre 1818. Versi 1-40.
Recitazione di Sergio Carlacchiani. Testo controllato su Carmelo Cappuccio, Poeti e prosatori italiani, Vol. III - L’Ottocento e il Novecento, Sansoni, Firenze 1963, pp.232-234.


All’Italia



O patria mia, vedo le mura e gli archi
e le colonne e i simulacri e l'erme
torri degli avi nostri,
ma la gloria non vedo,
non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
i nostri padri antichi. Or fatta inerme,
nuda la fronte e nudo il petto mostri.
Oimè quante ferite,
che lividor, che sangue! Oh qual ti veggio,
formosissima donna! Io chiedo al cielo
e al mondo: - Dite dite;
chi la ridusse a tale? - E questo è peggio,
che di catene ha carche ambe le braccia;
sí che sparte le chiome e senza velo
siede in terra negletta e sconsolata,
nascondendo la faccia
tra le ginocchia, e piange.
Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
le genti a vincer nata
e nella fausta sorte e nella ria.




Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
mai non potrebbe il pianto
adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
che fosti donna, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
che, rimembrando il tuo passato vanto,
non dica: - Già fu grande, or non è quella - ?
Perché, perché? Dov'è la forza antica,
dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?
Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
o qual tanta possanza
valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna per te? Non ti difende
nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
combatterò, procomberò sol io.
Dammi, o ciel, che sia foco
agl'italici petti il sangue mio.


[FINE]