Ogni insieme di diritti nasce da un conflitto che si crea quando qualcuno compie o vuole compiere qualcosa che ha delle conseguenze su altre persone, con il favore di alcune di queste e l’opposizione di altre. Con o senza una lotta, si giunge ad un accordo o a un compromesso con il quale si definiscono i rispettivi diritti. Quello che voglio evidenziare in modo particolare è che la soluzione è essenzialmente la trasformazione del conflitto da un problema politico a una transazione economica. Una transazione economica è un problema politico risolto. L’economia ha conquistato il titolo di regina delle scienze sociali scegliendo come suo dominio quello dei problemi politici risolti. (Abba P. Lerner, 1972, The Economics and Politics of Consumer Sovereignty)

Nel lungo periodo, se non saremo davvero tutti morti, saremo ancora nel breve periodo. (Abba P. Lerner, 1962, Own Rates and the Liquidity Trap)

Affinché il sistema capitalista funzioni efficacemente i prezzi devono sostenere i profitti. (Hyman P. Minsky, 1986, Stabilizing an Unstable Economy)

Res tantum valet quantum vendi potest. (cfr. Karl Pribram, 1983, A History of Economic Reasoning)

L'unico rimedio per la disoccupazione è avere una banca centrale sotto il controllo pubblico. (cfr. John Maynard Keynes, 1936, The General Theory of Employment, Interest and Money)

We have this endearing tendency in economics to reinvent the wheel. (Anthony P. Thirlwall, 2013, Economic Growth in an Open Developing Economy, p.33)

Amicus Plato, sed magis amica veritas.


N.B. Nel blog i link sono indicati in rosso: questo è un link.

domenica 30 giugno 2013

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La piena occupazione in una società libera




William H. Beveridge

Full employment in a Free Society

William H. Beveridge, Full Employment in a Free Society, George Allen and Unwin, London, 1944. - Traduzione italiana di Paolo Baffi e Felice di Falco, Relazione su l’impiego integrale del lavoro in una società libera, Giulio Einaudi editore, Torino, 1948. pp. 4-36.



La piena occupazione in una società libera.                 Introduzione

[ A cura di Giorgio D.M. * ]


La miseria genera odio


.3-.7                        Il significato di “piena occupazione”
.8-.9                        Lo scopo dell’occupazione
.10-.18                    Preservazione delle libertà essenziali
.19-.29                    Diagnosi della disoccupazione
.30                          Analisi della economia di guerra
.31-.35                    Natura di una politica di piena occupazione.
.36-.37                    Adeguamenti territoriali e qualitativi tra la domanda e l’offerta di lavoro
.38-.43                    Riflessi internazionali
.44-.47                    Lo Stato e il cittadino
.48-.50                    Il piano per la sicurezza sociale e la politica dell’occupazione



Il significato di “piena occupazione”

3.
Cosa significa la “piena occupazione” e che cosa essa non significa?
Piena occupazione non vuol dire letteralmente assenza assoluta di disoccupazione; non significa cioè che in un dato paese ogni uomo e donna che siano atti e disponibili per il lavoro vengano impiegati produttivamente per tutti i giorni della loro vita lavorativa.
In ogni paese a clima variabile vi sono stagioni nelle quali particolari forme di lavoro sono impossibili o difficili.
In ogni società progressiva vi saranno mutamenti nella domanda di lavoro, in senso qualitativo se non quantitativo; vi saranno, cioè, periodi nei quali determinati individui non potranno continuare ad essere impiegati vantaggiosamente nelle loro occupazioni precedenti e potranno rimanere disoccupati fino a che non avranno trovato e non si sentiranno idonei a coprire nuovi posti.
In una società progressiva, per quanto alta possa essere la domanda di lavoro, vi sarà una certa disoccupazione di attrito.
Piena occupazione significa che la disoccupazione è ridotta brevi intervalli di attesa, con la certezza che molto presto uno sarà richiesto per tornare al suo vecchio posto o per coprirne uno nuovo che rientri nelle sue possibilità.

4.
La piena occupazione è talvolta definita come “uno stato di cose in cui il numero dei posti vacanti non è apprezzabilmente inferiore al numero delle persone disoccupate, cosicché la disoccupazione è dovuta in qualsiasi momento al normale intervallo che intercorre tra il momento in cui si lascia un posto e quello in cui se ne trova un altro” 1.
Nella presente relazione la piena occupazione ha un significato più esteso sotto due punti di vista.
Essa significa che vi è sempre un numero di posti vacanti maggiore di quello delle persone disoccupate, e non un numero di posti solo leggermente inferiore.
Essa significa che i posti sono equamente retribuiti e che la loro specie e la loro distribuzione è tale da potersi ragionevolmente ritenere che i disoccupati potranno coprirli; significa, per conseguenza, che il normale intervallo tra il momento in cui si perde un posto e quello in cui se ne trova un altro sarà molto breve.

5.
L’affermazione che vi dovrebbe sempre essere un numero di posti vacanti maggiore di quello delle persone disoccupate significa che il mercato del lavoro dovrebbe essere sempre un mercato favorevole al venditore anziché al compratore.
Vi è una decisiva ragione perché sia così, quando si parte dalla concezione della società che sta a fondamento della presente relazione: quella che la società esiste per l’individuo.
E la ragione è che le difficoltà incontrate da chi offre lavoro hanno conseguenze di ordine ben diversamente nocivo da quelle incontrate da chi ne fa domanda.
Chi incontra difficoltà nell’acquistare la mano d’opera di cui ha bisogno subisce un contrattempo o una riduzione dei profitti. Chi invece non può vendere il proprio lavoro è considerato di nessuna utilità.
La prima difficoltà causa fastidi o perdite; l’altra invece è una catastrofe personale.
Tale differenza permane anche se il disoccupato viene provveduto di un adeguato reddito, mercé l’assicurazione o altri mezzi: l’ozio corrompe anche se si dispone di un reddito, la sensazione di non servire a nulla demoralizza.
La differenza sussiste anche se molti rimangono disoccupati solo per periodi relativamente brevi.
Finché vi sarà una disoccupazione di lunga durata non dovuta manifestamente a deficienza dell’individuo, chiunque perde il proprio posto teme di poter essere uno di quegli sfortunati che non riusciranno presto a trovarne un altro.
Coloro che rimangono disoccupati per un breve periodo non sanno di essere disoccupati per un breve periodo finché la loro disoccupazione non abbia termine.

6.
La differenza dal punto di vista umano tra il non riuscire a comprare e il non riuscire a vendere lavoro è la ragione decisiva per tendere a far sì che il mercato del lavoro sia un mercato del venditore piuttosto che un mercato del compratore.
Vi sono altre ragioni, appena meno importanti.
Una ragione è quella che solo se vi è lavoro per tutti è giusto pretendere che gli operai, individualmente e nei sindacati operai collettivamente, cooperino nell’utilizzare al massimo tutte le risorse produttive, compreso il lavoro, e rinunzino a pratiche restrittive.
Un’altra ragione, in relazione con ciò, è che il carattere e la durata della disoccupazione individuale causata dalle trasformazioni strutturali e tecniche dell’industria dipenderanno dalla domanda di lavoro nelle forme che questa prenderà dopo le trasformazioni suddette.
Quanto più rapido è il passo del meccanismo economico, tanto più rapidamente scomparirà la disoccupazione strutturale e tanto minori saranno gli ostacoli di ogni genere al progresso.
Un’altra ragione è quello stimolo al progresso tecnico che è costituito dalla deficienza di mano d’opera.
Le macchine vengono utilizzate per risparmiare gli uomini per quei lavori che soltanto gli uomini possono eseguire. Dove la mano d’opera è a buon mercato, essa viene spesso sciupata in una fatica non assistita e in intelligente.
Le nuove terre scarse di uomini sono la fucina dell’invenzione e dell’iniziativa economica in tempo di pace. L’incentivo al risparmio della mano d’opera di ogni specie è uno dei sottoprodotti della piena occupazione in tempo di guerra.

7.
La piena occupazione, che è l’obiettivo di questa relazione, significa più posti vacanti che uomini disoccupati.
Essa significa anche qualcosa d’altro.
Se vi fossero in Gran Bretagna due milioni di disoccupati cronici e due milioni e un quarto di posti vacanti che essi non potessero o non volessero occupare, vi sarebbero più posti vacanti che non persone disoccupate, ma sarebbe derisorio chiamare tale stato di coese “piena occupazione”.
Non basta dire che vi devono essere più, o quasi altrettanti, posti vacanti che uomini inoperosi.
Occorre altresì essere sicuri che il numero dei disoccupati, o piuttosto la durata della disoccupazione per ogni caso individuale, non sia eccessiva.
La piena occupazione, nel suo vero significato, significa che la disoccupazione per ogni individuo non deve protrarsi per un periodo di tempo più lungo di quello che può essere fronteggiato grazie all’assicurazione contro la disoccupazione, senza corre il rischio della demoralizzazione.
Coloro che perdono il posto devono essere in grado di trovare senza indugio un nuovo impiego, equamente retribuito, adeguato alle loro capacità.
Ciò significa che tanto la domanda che l’offerta di lavoro sono correlate sia qualitativamente che quantitativamente.
La domanda deve essere adeguata alle qualità degli uomini disponibili o gli uomini devono essere in grado di adeguarsi alla domanda.
Alla luce della storia della disoccupazione […] è chiaro che l’adeguamento tra l’offerta e la domanda di lavoro, dal punto di vista qualitativo come da quello della distribuzione territoriale, deve essere affrontato da entrambi i lati, quello della domanda e quello dell’offerta.
La domanda non deve soltanto essere sufficiente nel totale, ma deve essere indirizzata avendo riguardo alla qualità ed alla distribuzione territoriale della mano d’opera. L’offerta della mano d’opera deve essere in grado di seguire i mutamenti della domanda che sono inseparabili dal progresso tecnico.


Lo scopo dell’occupazione

8.
L’ozio non è la stessa cosa del bisogno, ma è un male diverso, al quale gli uomini non sfuggono per il fatto di avere un reddito. Essi devono anche avere la possibilità di rendere un servizio utile e di averne coscienza.
Ciò significa che non si vuole l’occupazione per l’amore dell’occupazione, senza alcun riguardo a quel che essa produce.
Il fine materiale di ogni attività umana è il consumo.
L’occupazione è richiesta come mezzo per conseguire un maggior consumo o una maggiore agiatezza, ossia un mezzo per conquistare un più alto tenore di vita.
L’occupazione che sia semplicemente perdita di tempo, come lo scavar buche per colmarle di nuovo, o sia meramente distruttiva come la guerra e la sua preparazione, non serve a tale scopo e non sarebbe ritenuta cosa degna.
Essa deve essere produttiva e progressiva.
Le proposte di questa relazione sono rivolte a salvare tutte le molle principali del progresso materiale della collettività, a lasciare che speciali prestazioni trovino la loro ricompensa, a lasciare campo ai cambiamenti, alle invenzioni, alla concorrenza e all’iniziativa.

9.
Lasciando campo ai cambiamenti e alla libertà di movimento da impiego a impiego, si lascia necessariamente campo a una certa disoccupazione.
L’obiettivo di questa relazione è espresso in termini numerici […] come una riduzione della disoccupazione a non più del 3%, in confronto a quella del dieci-ventidue per cento avutasi in Gran Bretagna nel periodo tra le due guerre.
Ma sebbene la presente relazione supponga la persistenza di una certa disoccupazione e metta innanzi la cifra del 3%, la sostanza delle proposte contenute nella relazione stessa è che questo 3% di disoccupazione dovrebbe rimanere soltanto per effetto degli attriti del mercato del lavoro e non della mancanza di posti vacanti.
Perché gli uomini abbiano un valore ed abbiano coscienza di valere qualcosa, vi debbono essere sempre cose utili che aspettano di essere fatte, e denaro da spendere per farle.
Sono piuttosto i posti da occupare che devono attendere, non gli uomini.


Preservazione delle libertà essenziali

10.
Il mercato del lavoro è stato in passato invariabilmente o quasi un mercato favorevole al compratore piuttosto che al venditore, con un numero di disoccupati maggiore – anzi generalmente molto maggiore – di quello dei posti vacanti.
Rovesciare tale situazione e ottenere che il mercato del lavoro sia sempre un mercato favorevole al venditore anziché al compratore ed eliminare non soltanto la disoccupazione ma il timore della disoccupazione, avrebbe conseguenze sul funzionamento di molte tra le istituzioni esistenti, trasformando fondamentalmente, come si vuole che avvenga, le condizioni di vita e di lavoro in Gran Bretagna, così da farne nuovamente un paese in cui si offrano a tutti delle possibilità.
Vi sono però alcune cose che né alla piena occupazione, né ai mezzi messi in atto per realizzarla, deve essere consentito di cambiare.

11.
Come è indicato dal suo stesso titolo, la presente relazione non tratta soltanto del problema della piena occupazione.
Essa si occupa della necessità, della possibilità e dei metodi per conseguire la piena occupazione in una società libera, e ciò pone la condizione che siano osservate tutte le libertà essenziali del cittadino.
La portata effettiva di tale condizione dipende dalla lista delle libertà essenziali del cittadino.
Ai fini della presente relazione vengono considerate come tali la libertà di culto, di parola, di scrivere, di studiare e d’insegnare; la libertà di riunione e di associazione per scopi politici o altri scopi, compreso quello di un cambiamento pacifico dell’autorità governativa; la libertà di scelta dell’occupazione e la libertà di amministrare il proprio reddito personale.
L’accennata condizione esclude la soluzione totalitaria della piena occupazione in una società completamente pianificata o irreggimentata da un dittatore inamovibile.
Essa rende pertanto il problema della piena occupazione più complesso sotto molti aspetti, quattro dei quali richiedono un cenno speciale.

12.
Primo: in una società libera l’autorità governativa è soggetta ad essere cambiata, a brevi intervalli, con metodi pacifici di organizzazione e di votazione.
Nonostante tali cambiamenti di governo, vi deve essere una ragionevole continuità nella politica economica.
Il meccanismo del governo, mentre deve essere sensibile ai cambiamenti generali dell’opinione, deve resistere alle manovre “di corridoio”, ossia alle pressioni interessate di interessi di parte.

13.
Secondo: la libertà di associazione per scopi di lavoro fa sorgere la questione della determinazione dei salari.
In una situazione di piena occupazione può impedirsi una spirale crescente dei salari e dei prezzi se la contrattazione collettiva, con il diritto di sciopero, rimane assolutamente libera?
E’ possibile in una società libera in tempo di pace limitare in generale il diritto di sciopero?

14.
Terzo: la libertà di scelta delle occupazioni rende più difficile assicurare che tutti gli uomini in qualsiasi momento siano produttivamente occupati.
Essa non consente di trattenere forzatamente una persona in un determinato lavoro o di indirizzarla verso quest’ultimo con la minaccia della prigione in caso di rifiuto.
Un presupposto fondamentale di questa relazione è che né l’Ordinanza sui lavori essenziali né i poteri di direzione dell’industria che si sono ritenuti necessari in tempo di guerra debbano essere mantenuti in vita al termine del conflitto.
In Gran Bretagna, in tempo di pace, l’offerta di mano d’opera non può essere adeguata per decreto alla domanda; essa può essere guidata soltanto da motivi economici.
Da un altro punto di vista, la libertà di scelta delle occupazioni fa sorgere anche la questione della disciplina del lavoro.
In una situazione di piena occupazione, se gli uomini sono liberi di passare da un impiego all’altro e non temono licenziamenti, non possono almeno alcuni di essi diventare così irregolari e indisciplinati da ridurre sensibilmente l’efficienza dell’industria?

15.
Quarto: la libertà di amministrare il proprio reddito personale complica il problema della piena occupazione da un altro lato. Se al pubblico non può essere fatto obbligo di acquistare proprio quello che è stato prodotto, ciò significa che la domanda di lavoro non può essere adattata coattivamente all’offerta.
Vi possono essere continue variazioni nelle specie dei beni per i quali i consumatori desiderano spendere il loro danaro, ossia nella qualità della spesa dei consumatori.
Vi possono essere variazioni anche nella quantità della spesa, poiché la libertà di amministrare il reddito personale comprende la libertà di decidere tra lo spendere subito e il risparmiare in modo da avere la possibilità di spendere più tardi.
Un regime totalitario, anche se facesse uso di differenziazioni nella moneta, nei prezzi e nei valori per stimolare e guidare l’attività individuale, potrebbe abolire la libertà di risparmio.
Esso potrebbe trattenere, sul reddito nazionale di ciascun anno, la quota ritenuta necessaria per gli investimenti, ossia per il mantenimento delle persone occupate nella produzione di strumenti e di materiali destinati ad un’ulteriore produzione, e potrebbe assegnare ai consumatori un tipo di moneta che, come i tagliandi del razionamento, non potesse essere risparmiata per essere spesa più tardi.
In una società libera deve essere consentito ad ogni individuo di distribuire le proprie spese lungo l’intero corso della sua vita.

16.
Molti dei punti brevemente accennati sopra saranno discussi più compiutamente […] quando si tratterà di ciò che la politica della piena occupazione implica di per sé.
Qui basta dire che nessuna di tali libertà può essere esercitata senza senso di responsabilità. La perpetua instabilità della politica economica e sociale renderebbe impossibile la piena occupazione e qualunque altra riforma sociale.
La contrattazione dei salari deve essere fatta con senso di responsabilità, mirando non a transitori vantaggi particolari, ma al bene permanente della collettività.
La scelta dell’occupazione significa la libertà di scegliere tra occupazioni che sono disponibili; non è possibile che uno scelga di diventare arcivescovo di Canterbury, se quel posto è già occupato da un altro.
Lavorare significa fare ciò che è richiesto, non già fare quel che piace. Ogni libertà comporta delle responsabilità. Ciò non significa che si debba rinunziare alle libertà stesse. Esse devono essere mantenute.

17.
Sotto tutti gli aspetti accennati, e probabilmente sotto altri ancora, il problema di mantenere la piena occupazione è più complicato in una società libera che in un regime totalitario.
Così come viene qui posto, esso è invece libero da una complicazione di una certa importanza storica.
L’elenco delle libertà essenziali sopra indicato non comprende la libertà per un privato cittadino di possedere mezzi di produzione e di impiegare altri cittadini come salariati nell’esercizio di tali mezzi.
La proprietà privata dei mezzi di produzione, messi in opera da altri, può essere o meno un buon espediente economico, ma deve giudicarsi come un espediente.
Essa non è in Gran Bretagna una libertà essenziale del cittadino, poiché non è e non è mai stata goduta che da una piccola parte del popolo britannico.
Non può nemmeno dirsi che una parte considerevole della popolazione nutra qualche speranza di arrivare in avvenire a una tale proprietà.

18.
Dal punto di vista sostenuto in questa relazione, la piena occupazione è in effetti realizzabile anche lasciando la gestione dell’industria prevalentemente nelle mani dell’iniziativa privata, e le proposte qui formulate sono basate su questo punto di vista.
Ma se, contrariamente a tale punto di vista, l’esperienza o la logica dimostrassero che l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione fosse necessaria per assicurare la piena occupazione, questa abolizione dovrebbe essere intrapresa.


Diagnosi della disoccupazione

19.
Il significato e lo scopo della piena occupazione e le condizioni limitatrici nelle quali essa viene prospettata nella presente relazione sono stati ora stabiliti.
I metodi da adottare dipendono dalla diagnosi del male da curare.
La relazione sulle assicurazioni sociali e sui servizi affini si inizia con una diagnosi del bisogno. La presente relazione ha come suo punto di partenza una diagnosi della disoccupazione. La parte […] relativa alla “disoccupazione in tempo di pace” espone anzitutto i dati di fatto sulla disoccupazione precedentemente alla prima guerra mondiale, e quelli relativi al periodo tra le due guerre, e, in secondo luogo, alcune delle teorie dell’occupazione e della disoccupazione mediante le quali gli economisti hanno spiegato questi fatti.
I fatti e le teorie sono poi insieme esaminati in una sezione conclusiva su “il nuovo volto della disoccupazione” […]. I risultati generali di tale diagnosi sono i seguenti.

20.
Il volume della disoccupazione in un momento e in una collettività determinati dipende da fattori di tre specie: fattori che determinano la quantità della domanda effettiva di prodotti dell’industria,; fattori che determinano la direzione della domanda; fattori che determinano il modo in cui l’industria reagisce alla domanda.
Vi sarà disoccupazione ove la domanda effettiva non sia sufficiente nel complesso a richiedere l’uso della intera forza di lavoro della collettività.
Vi sarà disoccupazione ove la domanda effettiva, sebbene in complesso adeguata, sia male indirizzata, sia cioè domanda di un genere di lavoro che non può essere ragionevolmente eseguito dalla mano d’opera disponibile, o di lavoro in un luogo nel quale non ci si può ragionevolmente aspettare che i lavoratori si rechino.
Vi sarà disoccupazione ove l’industria sia organizzata in modo che, nel far fronte alla domanda effettiva, essa impegni riserve di lavoro eccessive, tenute inoperose per far fronte a variazioni locali e individuali della domanda, o quando vi siano ostacoli che impediscano alla mano d’opera di seguire le variazioni della domanda.

21.
In Gran Bretagna, durante il periodo tra le due guerre, la domanda di lavoro fu nel complesso deficiente rispetto all’offerta.
In gran parte del paese si verificò una disoccupazione cronica di massa […]. In nessuna parte del paese si ebbe una domanda di lavoro eccedente l’offerta, salvo forse, per talune particolari categorie di lavoratori, nei pochi mesi durante i quali il ciclo economico raggiungeva il suo vertice.
Nell’anno 1937, che per essere stato al vertice di un ciclo economico ha rappresentato il meglio che l’economia di mercato non pianificata potesse dare, vi erano in Gran Bretagna 1.750.000 disoccupati, pari a più del 10% della forza lavoro.
Nel mese di maggiore occupazione del 1937 non vi erano più di poche migliaia di posti vacanti negli uffici di collocamento, ciò che significa che vi fu sempre un numero di disoccupati molte volte superiore a quello dei posti vacanti […].
Nella maggior parte degli altri anni del periodo tra le due guerre la disoccupazione fu molto più vasta di quella del 1937.

22.
La domanda di lavoro non fu soltanto inadeguata, ma male distribuita.
Se la domanda complessiva fosse stata tanto maggiore quantitativamente da eguagliare l’offerta complessiva, ma se la sua distribuzione territoriale fosse rimasta invariata, cioè tale da conservare le stesse proporzioni tra le differenti regioni della Gran Bretagna, essa non sarebbe valsa ad abolire la disoccupazione; vi sarebbe stato un gran numero di posti vacanti e di uomini che non avrebbero potuto o non avrebbero voluto trasferirsi per coprirli e ai quali non si sarebbe potuto ragionevolmente richiedere di farlo.
Indubbiamente un’alta domanda di tal natura avrebbe ridotto la disoccupazione perché avrebbe fatto spostare un numero maggiore di persone dalle zone depresse alle zone relativamente prospere, ma questo sarebbe avvenuto soltanto a prezzo di una ancora maggiore congestione nelle condizioni di alloggio e di trasporto nelle zone prospere, e di uno smembramento di famiglie, una distruzione di comunità e uno spreco di capitali sociali anche maggiori nelle zone depresse.
La deficienza della domanda e la sua cattiva distribuzione sono due mali indipendenti.
Una domanda molto più ampia di quella effettiva, mal distribuita nello stesso modo, avrebbe lasciato invariata molta parte della disoccupazione.
D’altro lato, la stessa domanda totale diretta uniformemente verso ogni parte del paese, mentre avrebbe evitato alcuni dei mali sociali della disoccupazione concentrata, avrebbe lasciato lo stesso totale di disoccupazione distribuita uniformemente per tutto il paese.
Il male stava nella cattiva distribuzione territoriale della domanda, piuttosto che in quella per industrie.
Le grandi variazioni che di fatto si ebbero, tra le due guerre, nel numero delle persone occupate nelle varie industrie, mostrano che l’offerta di lavoro è più fluida negli spostamenti tra industrie che in quelli tra località […].
E’ più facile per gli adulti cambiare occupazione ed è molto più facile per i giovanbi scegliere la prima occupazione, con riferimento alla domanda di particolari industrie, di quel che non sia per i lavoratori di qualsiasi età spostare la loro residenza.
Per taluni l’età ed i legami familiari rendono gli spostamenti quasi impraticabili. Il lasciare la casa in cerca di nuove occupazioni è spesso un tonico in casi singoli, ma, ove sia preso in forti dosi, è un veleno che procura la distruzione delle collettività.

23.
I fattori di disoccupazione inerenti all’organizzazione del lavoro, che costituiscono il principale tema del primo studio dello scrivente, antecedente alla prima guerra mondiale, si mantennero tra le due guerre, provocando una forte disoccupazione in particolari industrie, indipendentemente dallo stato della domanda.
L’azione di tali fattori, e in particolare la disorganizzazione del mercato del lavoro, è illustrata dalla persistenza di elevati tassi di disoccupazione, in particolari industrie, nei tempi buoni come in quelli cattivi, nonostante l’aumento della domanda […]; dall’eccessivo reclutamento di mano d’opera da parte dell’industria edilizia, nella quale tra il 1924 ed il 1937 si ebbero simultaneamente un aumento della metà del numero degli occupati e un raddoppiamento della disoccupazione […]; dal 30% di disoccupazione cronica nei servizi portuali.

24.
Dei vari fattori della disoccupazione sopra menzionati, il più importante è la deficienza della domanda totale.
E’ bensì vero che in un certo senso non vi è una domanda complessiva di lavoro, in quanto ogni domanda è specifica, ossia riguarda una persona di una determinata qualità e sesso che faccia un determinato lavoro in un determinato luogo.
Nello stesso senso, non vi è una offerta complessiva di lavoro; ma vi sono soltanto persone di sesso, età e capacità intellettuali e fisiche diversi, residenti in luoghi diversi, con gradi di specializzazione e di adattabilità diversi e con gradi diversi di attaccamento ai luoghi in cui esse si trovano.
Questo è vero l’esistenza di attriti nel mercato di lavoro, come fattore della disoccupazione, non deve mai essere dimenticata.
Ma è altresì vero che le singole domande di lavoro in ciascuna industria e località in un dato momento costituiscono un totale che in confronto al numero complessivo delle singole persone in cerca di occupazione in quel dato momento può essere relativamente alto o relativamente basso.
Questa relazione tra la domanda complessiva e l’offerta complessiva di lavoro è il più importante elemento singolo del problema.
Esso influisce sulla posizione di ogni industria, senza alcuna eccezione e quali che possano essere le speciali circostanze in cui l’industria si trova, poiché la depressione di un’industria si ripercuote sulle altre industrie in due modi.
Essa riduce direttamente o indirettamente la domanda dei prodotti delle altre industrie ed accresce il numero delle persone che cercano di occuparsi in esse comparativamente alla domanda. [In questo modo si ha una] pressione eccessiva che durante le depressioni si esercita per l’accesso alle industrie meno colpite […].

25.
Precedentemente alla prima guerra mondiale veniva generalmente ammesso che la domanda complessiva di lavoro fosse adeguata, fuorché nei periodi di depressione ricorrente dovuta ai cicli economici.
Il problema della disoccupazione si presentava da un lato come il problema di organizzare il mercato del lavoro in modo tale da abbreviare gli intervalli tra un impiego e l’altro e da “decasualizzare” le occupazioni casuali, e dall’altro lato come quello di mitigare le fluttuazioni cicliche; queste erano generalmente considerate come un fenomeno monetario cui la politica bancaria poteva porre riparo.
Dopo la prima guerra mondiale la disoccupazione in Gran Bretagna superò sensibilmente ogni livello raggiunto in precedenza, e fu probabilmente, in media, due volte e mezzo più grave che nei trenta anni precedenti al 1914 […].
L’adeguatezza della domanda complessiva non poté più essere assunta come un dato di fatto; le nuove teorie economiche insegnarono che non vi era alcun meccanismo automatico atto a mantenere in equilibrio, senza fatica, l’offerta e la domanda di lavoro […].

26.
La disoccupazione che si manifestò negli Stati Uniti fra il 1930 e lo scoppio della seconda guerra mondiale fu anch’essa sensibilmente maggiore che in qualsiasi periodo precedente […]
In Gran Bretagna agivano due fattori:
a) una drastica riduzione della domanda da parte dei paesi d’oltremare, la quale, per non essere riuscita l’economia di mercato a generare una domanda interna compensatrice, portò ad una disoccupazione strutturale cronica per quasi tutto il periodo tra le due guerre;
b) la depressione ciclica che seguì al 1929 e che, sebbene meno grave in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, fu più grave della maggior parte delle depressioni precedenti.
L’eccezionale disoccupazione avutasi negli Stati Uniti, non può essere attribuita ad alcun fattore esterno, quale quello della deficienza della domanda d’oltremare; essa fu intensificata e prolungata dalle misure adottate dagli altri paesi per far fronte alle proprie difficoltà, ma in larga parte queste misure furono una conseguenza naturale della depressione stessa e verrebbero ripetute in circostanze analoghe.

27.
La grande depressione del 1931-32 fu per se stessa del medesimo tipo delle depressioni precedenti.
Sebbene essa sia stata più grave di qualsiasi altra verificatasi prima e sebbene i suoi effetti in Gran Bretagna siano stati accresciuti dalla disoccupazione strutturale dovuta alla tendenza di fondo discendente manifestatasi nella domanda d’oltremare, il movimento ciclico degli anni dal 1929 al 1938 discende direttamente dalle ripetute fluttuazioni, le quali, da quando l’industria assunse ala sua forma moderna, hanno portato l’incertezza a tutti i paesi industrialmente progrediti con una economia di mercato non pianificata […].
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, non vi è alcuna ragione per credere o sperare che il sistema economico che ha prodotto questa depressione non riproduca, qualora sia lasciato a se stesso, depressioni analoghe in futuro.
Per quanto riguarda la Gran Bretagna, è vero che dopo la prima guerra mondiale operò il fattore speciale della deficienza della domanda d’oltremare, ma non vi può essere ugualmente alcuna fiducia che altri fattori speciali non abbiano a ripresentarsi e, aggiungendosi alle fluttuazioni cicliche, non abbiano a produrre una disoccupazione intollerabile.

28.
Sebbene sia chiaro che nel periodo tra le due guerre la disoccupazione in Gran Bretagna e in America è stata più grave che precedentemente alla prima guerra mondiale, non siamo realmente in grado di dire quanto cattivo fosse lo stato di cose precedente al 1914, poiché non disponiamo di elementi esaurienti.
Tre cose, tuttavia sono certe.
In primo luogo, che durante l’ultimo trentennio precedente alla prima guerra mondiale, la domanda di lavoro generata nell’economia britannica fu, per cinque anni su ogni sei, deficiente rispetto all’offerta […].
In secondo luogo, che nel secondo quarto del secolo diciannovesimo la fluttuazione ciclica in Gran Bretagna, sebbene incidesse su una parte minore della popolazione, fu per se stessa quasi altrettanto violenta come fra le due guerre [..].
In terzo luogo, che gli spostamenti nell’ubicazione dell’industria hanno provocato in Gran Bretagna, precedentemente alla prima guerra mondiale, una disoccupazione strutturale dello stesso tipo, sebbene non delle stesse proporzioni, di quella verificatasi tra le due guerre […].

29.
Mentre il maggiore male della disoccupazione risiede negli effetti sociali ed umani sui disoccupati e sulle relazioni tra i cittadini, la perdita puramente materiale di ricchezza materiale che essa comporta è seria.
Se le risorse di lavoro della Gran Bretagna non utilizzate tra le due guerre fossero state invece impiegate, si sarebbe potuto, senza alcun ulteriore mutamento, aumentare la produzione totale della collettività approssimativamente del 12,5%.


Analisi dell’economia di guerra

30.
La diagnosi delle condizioni di pace […] non lascia alcun dubbio sulla debolezza centrale dell’economia di mercato non pianificata del passato: la sua incapacità di generare una domanda sufficiente e costante dei prodotti di tale economia, con la maldistribuzione territoriale della domanda e la disorganizzazione del mercato del lavoro come debolezze collaterali che sboccano tutte nella disoccupazione.
Per esperienza ripetuta, durante la guerra la disoccupazione scompare.
Tra le condizioni nelle quali ciò si verifica, vi sono le ben note interferenze con alcune libertà essenziali nei periodi di pace: attraverso il razionamento, la direzione del lavoro, e la proibizione di ritirarsi dal lavoro in caso di controversia.
Ma l’esame della piena occupazione in tempo di guerra […] indica che queste interferenze sorgono dal particolare carattere degli obiettivi di guerra e dalla loro urgenza, e che esse non sono in alcun modo essenziali per realizzare la piena occupazione.
Tale esame mostra che la supposta distinzione tra l’attività distruttiva dei combattenti e l’attività produttiva della popolazione civile è irreale: l’una e l’altra sono dirette a scopi essenziali.
L’esperienza della guerra ha la sua importanza per la pace, indicando che la disoccupazione scompare e che tutti gli uomini hanno un valore quando lo Stato crea una domanda illimitata per un comune scopo che s’impone.
Con gli spettacolosi risultati della sua economia pianificata la guerra mostra altresì quanto grande sia lo spreco della disoccupazione.
Infine, l’esperienza bellica conferma la possibilità di assicurare la piena occupazione socializzando la domanda senza socializzare la produzione.


Natura di una politica di piena occupazione

31.
Poiché la disoccupazione ha tre fonti distinte, l’azione contro la disoccupazione deve essere condotta lungo tre linee: mantenere in qualsiasi momento un’adeguata spesa complessiva; controllare l’ubicazione delle industrie; assicurare la mobilità organizzata del lavoro.
La prima è la linea di attacco principale; le altre sono sussidiarie, quasi operazioni di rastrellamento.
L’occupazione dipende dalla spesa del denaro nei prodotti dell’industria; quando l’occupazione diminuisce, è segno che qualcuno spende meno; quando aumenta, è segno che qualcuno spende di più.
La prima condizione della piena occupazione è che la spesa totale sia sempre tanto alta da provocare una domanda di prodotti dell’industria che non possa essere soddisfatta senza che venga utilizzata l’intera forza di lavoro del paese: soltanto così il numero dei posti vacanti può essere sempre altrettanto elevato o anche più elevato del numero degli uomini che cercano lavoro.
Chi deve assicurare che la prima condizione sia soddisfatta?
La risposta è che questa deve essere una responsabilità dello Stato.
Nessun altro dispone dei poteri necessari e la condizione non viene soddisfatta automaticamente.
Deve essere una funzione dello Stato, in avvenire, quella di assicurare una spesa totale adeguata e per conseguenza di proteggere i propri cittadini contro la disoccupazione in massa, precisamente come oggi è funzione dello Stato difendere i cittadini contro gli attacchi dall’esterno e contro i furti e la violenza all’interno.
L’accettazione di questa nuova responsabilità da parte dello Stato, da assolversi qualunque possa essere il governo al potere, segna la linea che noi dobbiamo attraversare, al fine di passare dalla vecchia Inghilterra della disoccupazione in massa, dell’invidia e della paura ad una nuova Inghilterra che dia a tutti occasioni di servire.

32.
[…] L’essenza [di una politica di piena occupazione] è costituita dalla formulazione di un programma a lungo termine di spesa pianificata secondo una scala di priorità sociali, e mirante a dare stabilità ed espansione al sistema economico.
Il principale strumento di tale politica è la impostazione di un nuovo tipo di bilancio dello Stato.
Il programma non riguarda semplicemente la spesa pubblica, ossia quella fatta direttamente dallo Stato e dalle autorità locali.
In una società libera la maggior parte della spesa totale, da cui dipende l’occupazione, è data dalla spesa del reddito dei privati cittadini.
In una società che mantiene in larga misura l’iniziativa privata nell’industria, una parte notevole della spesa totale prenderà la forma di investimenti privati.
Lo Stato, per quanto in una società libera non cerchi di controllare la spesa dei privati cittadini, sia nel suo ammontare che nella sua distribuzione, può influenzarla attraverso la tassazione e le altre forme di politica fiscale.
Il bilancio annuale, pertanto, è uno strumento attraverso il quale non soltanto si determina la spesa pubblica, ma si influenza anche la spesa privata.

33.
Il programma a lunga scadenza delineato […] comprende le spese di qualsiasi genere, sotto cinque distinte categorie.
Vi è la spesa collettiva in merci e servizi non commerciabili, che comprendono la difesa, l’ordine pubblico, l’istruzione gratuita, il servizio sanitario nazionale, strade, opere di regolazione delle acque ed altri lavori pubblici.
Vi sono gli investimenti pubblici di natura commerciale nelle industrie attualmente sottoposte a controllo pubblico o che potranno esservi sottoposte in seguito, accrescendo così il settore di attività in cui gli investimenti potranno venire attuati a un ritmo costante.
Vi sono gli investimenti commerciali privati: in questo campo lo Stato, attraverso un nuovo organismo, che chiameremo Consiglio nazionale degli investimenti, mentre mantiene l’iniziativa privata, può, con opportune misure, coordinare e stabilizzare l’attività degli uomini d’affari.
Vi sono le spese private di consumo. Che costituiscono la più importante delle cinque categorie.
Esse possono essere aumentate mediante l’azione dello Stato per la redistribuzione del reddito, con misure di sicurezza sociale e con la tassazione progressiva.
Vi è poi una nuova categoria, che chiameremo delle spese congiunte di consumo: quella in cui lo Stato prende l’iniziativa di effettuare ordinazioni collettive di generi alimentari, combustibili e magari di altri prodotti di prima necessità, con l’intento di rivenderli in seguito ai privati consumatori ad un prezzo che può essere ribassato mediante sussidi.
Attraverso queste ultime spese lo Stato può influenzare tanto l’ammontare che la natura delle spese private, pur lasciandole libere.

34.
La novità del nuovo bilancio annuale dello Stato sta in due circostanze: la prima, che esso dovrà riguardare il reddito e la spesa della collettività nel suo complesso e non soltanto le finanze pubbliche; la seconda, che esso dovrà assumere come dato il potenziale umano del paese e fare il piano delle spese in base a tale dato anziché alla considerazione delle risorse finanziarie.
Il ministro che presenta il bilancio, dopo aver valutato l’ammontare delle spese che in una condizione di piena occupazione si ritiene potranno essere effettuate dai privati cittadini per il consumo e per gli investimenti, deve proporre un ammontare di spese pubbliche che, insieme alle presunte spese private, sia sufficiente a realizzare la suddetta condizione, vale a dire che sia capace di occupare l’intero potenziale umano del paese.
Questo è il principio cardinale.
Esso lascia aperta la questione del come procurarsi i mezzi necessari per far fronte a tali spese – in particolare quella della ripartizione tra imposte e prestiti – e la questione degli scopi a cui sono destinate le spese, che comprendono la questione del riparto tra le spese pubbliche e le private, tra il consumo e gli investimenti.
[…] vi sono diverse vie alternative per realizzare la piena occupazione. La via migliore dipende in ogni caso dalle circostanze del momento.

35.
Un programma alunga scadenza di spesa pianificata non significa un programma invariabile.
Esso sarà continuamente adattato alle mutevoli circostanze mediante il bilancio annuale dello Stato.
Tutto il suo carattere può cambiare gradualmente, in rapporto all’aumento della produttività o ai mutevoli criteri di giustizia sociale.
Il principio direttivo è quello delle priorità sociali, ossia di giuste precedenze.
Società diverse o la stessa società in tempi diversi possono avere differenti opinioni su ciò che deve venir prima, ossia di quelli che sono i bisogni più urgenti.
Secondo le vedute esposte nella presente relazione, i più urgenti compiti in Gran Bretagna, una volta terminata la guerra, saranno, da un lato, quello di condurre un comune attacco contro i giganteschi mali sociali del bisogno, delle malattie, dell’ignoranza e dello squallore; dall’altro lato, quello di riattrezzare l’industria britannica, sia in mani private che pubbliche, con nuovi e migliori macchinari, al fine di assicurare un costante aumento del tenore di vita; sotto questo riguardo anche l’agricoltura è da considerarsi tra le industrie.
E’ verso tali compiti che le risorse produttive della nazione debbono anzitutto essere rivolte, non appena disimpegnate dalla guerra totale.
E sono questi i compiti del periodo che nella presente relazione è detto di ricostruzione, il quale durerà forse venti anni e seguirà al periodo di transizione, che coprirà forse i due anni successivi alla fine della guerra totale, e attraverso il quale passeremo dalla guerra alla pace.
Mentre si andrà progressivamente [avanti] in tali compiti, nuovi bisogni si faranno innanzi e nuove aspirazioni sorgeranno.
Nel combattere i quattro mali giganti sopra menzionati, ridurremo anche il male della ineguaglianza, in cui punti in cui esso è maggiormente nocivo.
Ma anche quando quella lotta avrà raggiunto i suoi obiettivi, sarà sempre desiderabile e potrà anzi apparir la migliore via per conseguire la piena occupazione, di adottare misure continuate nel senso di una più equa distribuzione sia delle risorse materiali, in modo da ottenere che esse vengano spese anziché risparmiate, sia del riposo, così che questo possa sostituirsi alla disoccupazione.


Adeguamenti territoriali e qualitativi tra la domanda e l’offerta di lavoro

36.
La politica della piena occupazione […], oltre alla sua principale caratteristica di una spesa totale adeguata, comprende due misure sussidiarie: l’ubicazione controllata delle industrie e la mobilità organizzata della mano d’opera.
La prima di esse è richiesta prevalentemente per ragioni diverse dalla prevenzione della disoccupazione: essa è diretta contro lo squallore gigante, ossia contro i mali del congestionamento, del sovraffollamento, delle cattive condizioni igieniche, delle cattive abitazioni, e della distruzione degli agi nelle città e nelle campagne, mali che sono decritti nella relazione della Commissione reale sulla distribuzione della popolazione industriale.
Ma il bisogno di prevenire la cattiva distribuzione locale della domanda di mano d’opera e la disoccupazione che ne consegue è una ragione supplementare di attuare un tale controllo.
E’ meglio – e rappresenta un’interferenza minore nella vita individuale – controllare gli uomini d’affari in ordine all’ubicazione delle industrie anziché lasciarli senza controllo e costringere i lavoratori a cambiare abitazione per ragioni di lavoro.
Il controllo dell’ubicazione delle industrie da parte dello Stato costituisce l’alternativa alla direzione obbligatoria del lavoro e al formarsi di zone depresse.
Per questa nuova funzione occorre un nuovo organo dello Stato.
La pianificazione urbana e rurale, i trasporti e le abitazioni formano un tutto che dovrebbe probabilmente essere sottoposto alla sorveglianza generale di un ministero dello sviluppo nazionale.

37.
L’altra misura sussidiaria è costituita dalla mobilità organizzata della mano d’opera, non dalla mobilità come tale.
L’averla richiamata non significa ritenere che con la politica della piena occupazione i lavoratori saranno costretti a continui spostamenti di abitazione e di occupazione.
Al contrario, molti di essi potranno godere di una maggiore stabilità che non prima.
Molto vagabondare infruttuoso e senza guida alla ricerca del lavoro avrà fine.
Le industrie che, praticando il reclutamento casuale della mano d’opera, hanno in passato fatto assegnamento sull’accumularsi di riserve eccessive di mano d’opera parzialmente occupata, troveranno la cosa impossibile, nel regime di piena occupazione del tempo di pace, come l’hanno trovata impossibile durante la guerra.
Sia o non sia reso obbligatorio il reclutamento della mano d’opera attraverso gli uffici di collocamento, per tutte le specie di posti vacanti, esso deve essere imposto obbligatoriamente nei confronti di tutte le persone al di sotto dei diciotto anni, in modo che l’afflusso alle industrie della gioventù in formazione possa essere saggiamente indirizzato.
I cambiamenti nella domanda di lavoro sono inseparabili dal progresso, e cioè sono inseparabili dal miglioramento del tenore di vita.
La mobilità organizzata significa che, se e quando un cambiamento sarà necessario, gli adulti saranno disposti a cambiare le loro occupazioni e il loro luogo di lavoro, invece che darsi all’ozio.
Esso non significa il moto perpetuo.


Riflessi internazionali

38.
[A proposito dei] riflessi internazionali della politica di piena occupazione […] non occorre che sia messa in rilievo l’importanza vitale del commercio estero per la Gran Bretagna.
Per mantenere un tollerabile tenore di vita, la Gran Bretagna deve effettuare certe importazioni, e, dopo la guerra, deve essere in grado di esportare una maggiore quantità di merci per pagare le sue importazioni, dato che nei primi anni di guerra ha dovuto vendere molta parte dei titoli, i quali rappresentavano investimenti all’estero fatti in precedenza e fruttavano interessi i quali venivano pagati con le importazioni, e dato che i guadagni della marina mercantile britannica saranno per qualche tempo seriamente ridotti.
Per vivere, la Gran Bretagna ha bisogno di un certo minimo di importazioni e di esportazioni; per vivere meglio, dovrà procurare di sviluppare quanto possibile il suo commercio internazione.
Questo non significa, però, che la Gran Bretagna debba rimandare l’adozione di una politica di piena occupazione all’interno, fino a quando non sarà conosciuto l’atteggiamento degli altri paesi nei confronti del commercio internazionale e la forma migliore in cui questo potrà svolgersi.
Al contrario il più grande servizio che la Gran Bretagna possa rendere agli altri paesi, come a se medesima e allo sviluppo del commercio internazionale, sta nell’adottare subito una politica di piena occupazione all’interno, mettendo in chiaro che per essa il commercio estero è un mezzo di elevare il tenore di vita di tutti i paesi con onesti scambi, e non un espediente per esportare disoccupazione.
Una volta chiarito questo, la Gran Bretagna dovrebbe cooperare con gli altri paesi a sviluppare al massimo il commercio internazionale su una base quanto più possibile libera, e dovrebbe essere pronta ad entrare nel più vasto sistema monetario e di compensazione internazionale, che abbia buone prospettive di mantenersi.

39.
Ma le prospettive di un qualunque sistema del genere dipendono non tanto dai suoi particolari tecnici quanto dalle direttive di politica economica dei paesi che vi prendono parte.
[…] un qualsiasi piano di commercio multilaterale non controllato da un gruppo di paesi può essere permanente e funzionare senza attriti solo se ciascun paese accetta tre condizioni: la prima, di seguire all’interno una politica di piena occupazione; la seconda, di adottare o di accogliere tutte le misure necessarie a pareggiare i suoi conti con il resto del mondo, e di evitare gli squilibri, siano avanzi o disavanzi; la terza, di realizzare una ragionevole continuità e stabilità nella politica economica estera, e particolarmente nei riguardi del controllo degli scambi con l’estero mediante i dazi doganali, i contingentamenti e altri mezzi.
La prima di queste condizioni non significa che, se un determinato paese non riesce a mantenere la piena occupazione, debba per questo fatto essere immediatamente o permanentemente escluso dal sistema del commercio internazionale.
Ma essa vuol significare che un paese il quale persegua la piena occupazione deve, nel formulare i piani del commercio internazionale, tener conto non semplicemente della politica economica estera degli altri paesi, ma anche della loro politica economica interna e delle prospettive di stabilità di tale politica, e riservarsi il diritto di proteggersi con misure di discriminazione commerciale e con provvedimenti di altro genere, contro il contagio della depressione.
[Si dimostra che] il riconoscimento di questo facoltà di proteggersi contro il contagio della depressione non può in definitiva peggiorare le condizioni del paese depresso.

40.
Il ripristino, nella più larga misura possibile, del commercio multilaterale, sulla base delle tre condizioni suaccennate, dovrebbe costituire il primo obiettivo della politica britannica.
Se, come potrà avvenire, un sistema mondiale di commercio multilaterale non fosse raggiungibile o non lo fosse immediatamente, la migliore via che rimarrebbe aperta alla Gran Bretagna sarebbe quella di un sistema regionale di commercio multilaterale, esteso ai paesi in grado di accettare le sopraddette condizioni.
La terza alternativa disponibile per procurarsi un minimo di importazioni, senza del quale il tenore di vita britannico non potrebbe essere mantenuto, è quello di stipulare accordi bilaterali con determinati paesi fornitori che intendano al tempo stesso accogliere esportazioni britanniche.
In un modo o nell’altro, non vi è dubbio che per la Gran Bretagna il problema di procurarsi il minimo necessario di scambi internazionali può essere risolto.
La Gran Bretagna deve formulare la propria politica di piena occupazione secondo varie alternative, e riservarsi la facoltà di adottare la seconda o la terza alternativa, in ordine di preferibilità, qualora la prima non possa essere realizzata.

41.
La necessità per la Gran Bretagna di avere un volume sostanziale di scambi esteri significa che l’occupazione in Gran Bretagna sarà soggetta alle variazioni della domanda estera.
Ma si possono adottare provvedimenti per diminuire queste variazioni, e tutte le misure possibili dovrebbero essere adottate in cooperazione con le altre nazioni.
[…] la stabilizzazione della produzione e del collocamento dei prodotti primari, ossia dei generi alimentari e delle materie prime, costituisce una misura essenziale per evitare le fluttuazioni nei paesi industriali.
Ma per quanto si possa fare per ridurre le variazioni nella domanda estera, è certo che però qualche variazione continuerà a verificarsi.
La politica della piena occupazione della Gran Bretagna deve e può contenere misure idonee a variare la domanda interna in modo da far fronte alle variazioni della domanda estera.

42.
Nella politica della piena occupazione vi è un altro aspetto internazionale oltre a quello del commercio estero della Gran Bretagna.
La presente relazione è in primo luogo e soprattutto una relazione fatta per la Gran Bretagna, e quella che viene proposta è una politica particolare per la Gran Bretagna.
Ma il problema centrale affrontato in questa relazione è lo stesso problema che sta innanzi a tutte le comunità industriali progredite, le quali desiderano conquistare la sicurezza del lavoro per i loro cittadini preservandone le libertà democratiche.
Soprattutto, il problema è per la Gran Bretagna fondamentalmente lo stesso cui deve far fronte la più grande comunità industriale del mondo: gli Stati Uniti d’America. Per la Gran Bretagna e l’America le libertà essenziali del cittadino che devono essere ad ogni costo preservate sono le stesse.
L’esperienza della insicurezza che da almeno un secolo ricorre attraverso le fluttuazioni cicliche è pressappoco la stessa. L’esperienza della disoccupazione devastatrice e dello spreco di uomini, nell’ultimo decennio precedente alla guerra, è dello stesso genere, sebbene possa differire nel grado o nei particolari.
L’esperienza della mutua dipendenza tra le diverse nazioni, che è stata insegnata con tanta efficacia, a tutti coloro che sono disposti a guardare in viso la realtà, dalla grande depressione iniziatasi con il 1930, dovrebbe divenire una forza motrice della collaborazione diretta ad assicurare, per l’avvenire, una prosperità cui tutti contribuiscano.
I particolari di una politica di piena occupazione negli Stati Uniti potranno essere diversi da quelli che sono qui indicati per la Gran Bretagna. Ma tanto agli Stati Uniti che alla Gran Bretagna è applicabile il principio che sta alla base delle proposte qui fatte, che il governo nazionale, organo supremo della collettività, assuma la responsabilità di assicurare in ogni momento una spesa adeguata alla piena occupazione.
Ciò è compatibile con la permanenza, in via principale o esclusiva, della condotta effettiva della produzione e dell’impiego della forza di lavoro nelle mani dell’iniziativa privata, ossia di imprese che lavorano per un profitto e alle quali si applica il collaudo del profitto che riescono ad ottenere.
Ma la disoccupazione in massa non può essere evitata se non si mantiene un certo di livello di spesa, e in qualsiasi paese le libere istituzioni possono essere messe in pericolo da un ritorno della disoccupazione in massa.

43.
Infine, sebbene la presente relazione sia anzitutto fatta per la Gran Bretagna e tratti di quel che quest’ultima dovrebbe fare entro i propri confini per mettere ordine nella propria casa, questo non implica alcuna ristrettezza di vedute sul posto che la Gran Bretagna ha nel mondo o sulle sue responsabilità verso le altre nazioni.
Non implica che si debba ignorare l’urgente dovere che grava sulla Gran Bretagna, come su qualunque altro paese che sia sfuggito interamente o largamente alla devastazione fisica della comune guerra, di contribuire con tutte le proprie forze, senza cercare alcuna ricompensa, alla pronta ripresa delle regioni meno fortunate.
E ancor più che questo, la Gran Bretagna, sebbene non detenga o non desideri più di avere la posizione unica che occupava come principale paese industriale del mondo, è tuttora un paese ad alto livello di produzione e di consumo.
Essa ha ancora, perciò, la responsabilità di apprendere come si possa diffondere, in futuro, la prosperità al posto della depressione, e di aiutare a promuovere lo sviluppo industriale e l’elevamento del tenore di vita, non soltanto tra la propria gente ma anche tra gli altri popoli.
Ciò non viene dimenticato nella presente relazione. Ma la Gran Bretagna non può adempiere alle proprie responsabilità verso l’estero, e non può essere un buon vicino di altre nazioni, senza essere all’interno attiva, produttiva e soddisfatta.


Lo Stato e il cittadino

44.
La piena occupazione non può essere realizzata e mantenuta senza che siano largamente estese le responsabilità e i poteri che lo Stato esercita attraverso gli organi del governo centrale.
Nessun potere minore di quello dello Stato è in grado di assicurare in ogni tempo una adeguata spesa totale, né può controllare, nell’interesse generale, l’ubicazione delle industrie e la destinazione dei terreni.
Chiedere che sia attuata la piena occupazione mentre si sollevano obiezioni contro l’estensione dell’attività statale significa volere il fine e rifiutare i mezzi.
E’ come gridare per la vittoria nella guerra totale mentre si respingono la circoscrizione e il razionamento.
In questa relazione le nuove funzioni e i nuovi poteri che lo Stato dovrebbe avere sono messi in evidenza perché sono essenziali.
Ciò non significa che il fine possa essere raggiunto solo attraverso questi poteri.
Il principio basilare di questa relazione è di proporre che lo Stato faccia soltanto quelle cose che solo lo Stato può fare meglio di qualsiasi autorità locale o di qualsiasi privato cittadino, sia preso singolarmente che in associazione con altri, e di lasciare a questi ultimi compiti che, se vogliono, essi possono adempiere altrettanto bene o anche meglio dello Stato.
La politica di assicurare la piena occupazione è una politica che deve essere svolta attraverso l’azione democratica di autorità pubbliche, centrali e locali, responsabili in definitiva di fronte agli elettori, e di associazioni volontarie e di privati cittadini che cooperano consapevolmente ad uno scopo comune che essi comprendono ed approvano.
Le proposte formulate nella presente relazione preservano in modo assoluto tutte le libertà essenziali, le quali sono ben più preziose della stessa piena occupazione.
Esse rispettano e sono dirette a preservare molte altre libertà ed istituzioni che, per quanto non egualmente essenziali, sono profondamente radicate in Gran Bretagna.

.45
Le proposte formulate non implicano, ad esempio, alcun indebolimento delle amministrazioni locali, né alcuna surrogazione alle autorità locali nell’attuale loro campo d’azione.
Lo Stato deve compiere alcune cose nuove ed esercitare taluni controlli che non sono attualmente esercitati da alcuno. Esso dovrà stabilire il programma di una spesa pianificata per combattere i mali sociali e assicurare i mezzi per far fronte a tale spesa.
Ma una larga parte della esecuzione del programma – in materia di salute pubblica, abitazioni, istruzione ed in altri campi – e l’adeguamento del programma alle condizioni locali dovrà essere compito delle amministrazioni locali anziché del governo.

.46
Ancora, le proposte formulate non comportano un cambiamento generale nella direzione e nell’organizzazione dell’industria, sia nei riguardi dell’amministrazione che della mano d’opera.
Esse prospettano bensì un’espansione del settore dell’industria sottoposto a diretto controllo pubblico, ma si tratta sempre di un settore.
La politica qui delineata viene prospettata come qualcosa di funzionale che potrebbe realizzare la piena occupazione, anche se la maggior parte dell’industria dovesse continuare ad essere gestita dall’iniziativa privata a proprio rischio.
Indubbiamente il conseguimento della piena occupazione, influirebbe sul funzionamento di molte istituzioni industriali e solleverebbe molte questioni; il rendere il mercato del lavoro un mercato favorevole al venditore anziché al compratore è una rivoluzione tale da dare un nuovo indirizzo a ogni problema.
Alcune delle più importanti questioni, quali la disciplina del lavoro, la determinazione dei salari, la determinazione dei prezzi, il trattamento dei monopoli e delle associazioni intese a regolare i prezzi, sono […] tra i problemi insiti nella piena occupazione.
La conclusione generale è che il grado di libertà che in tale materia può essere lasciato a organi indipendenti dallo Stato, senza mettere in pericolo la politica di piena occupazione, dipende dal senso di responsabilità e dal civismo con cui le libertà vengono esercitate.
Non vi è ragione di dubitare che questo senso di responsabilità e di civismo debbano far difetto.

.47
La conclusione provvisoria raggiunta […] sulla questione generale della proprietà pubblica in contrapposto alla iniziativa privata nell’industria è che la necessità del socialismo, inteso nel senso della nazionalizzazione dei mezzi di produzione, di distribuzione e di scambio, al fine di assicurare la piena occupazione, non è stata ancora dimostrata.
Ciò non implica alcun giudizio sulla questione generale, del socialismo o del capitalismo, che rimane oggetto di dibattito per altri motivi. Non significa che il problema della piena occupazione e quello del controllo della industria non siano collegati in alcun modo; essi lo sono in vari modi. Significa soltanto che si ritiene che sarebbe possibile ottenere un lavoro produttivo per tutti anche in regime di iniziativa privata.
Non è qui necessario decidere se sarebbe più facile o più difficile ottenere ciò in regime di nazionalizzazione e se altre ragioni militino a favore del socialismo.
Il problema di mantenere per le risorse produttive del paese una richiesta tale che esse siano impiegate produttivamente nel far fronte ai bisogni umani sorge tanto se l’industria è controllata dal privato che cerca di realizzare un profitto, quanto se è controllata da un autorità pubblica.
In entrambi i casi si tratta largamente dello stesso problema.
La politica delineata in questa relazione è proposta come qualcosa che potrebbe e dovrebbe essere accettato da persone le quali abbiano vedute profondamente divergenti sul problema di chi debba in definitiva dirigere l’industria o circa il carattere della giustizia sociale.


Il piano per la sicurezza sociale e la politica dell’occupazione

48.
Nella relazione sulle assicurazioni sociali e sui servizi affini lo scrivente espose un piano per la sicurezza sociale.
La presente relazione non traccia un “piano” ma una “politica” di piena occupazione.
La differenza di termini è dovuta, in parte, alle diverse circostanze nelle quali le due relazioni sono state compilate, per cui una ha potuto avvalersi di tutto l’aiuto che il governo e i ministeri hanno potuto offrire, mentre l’altra non ha potuto avvalersi di tale assistenza.
Con lo stesso aiuto, questa seconda relazione avrebbe potuto trattare di molti particolari di carattere pratico che invece si sono dovuti omettere.

49.
Ma la differenza di termini tra “piano” e “politica” non deriva semplicemente o prevalentemente dalla diversità delle condizioni nelle quali le due relazioni sono state fatte.
Essa riflette anche una fondamentale differenza tra i problemi da risolvere.
La sicurezza sociale può oggi formare oggetto di un piano ben definito e di una legislazione che gli dia effetto.
Essa sta interamente in facoltà di ciascun governo nazionale: una volta presa la decisione di abolire il bisogno mercé un’applicazione comprensiva ed unificata delle assicurazioni sociali come metodo principale, una volta regolate alcune poche questioni di equità tra i contribuenti antichi e quelli nuovi, il resto non rappresenta che particolari di carattere amministrativo e attuariale: il piano dovrebbe essere quanto più definito possibile, in modo che ogni cittadino, conoscendo esattamente quel che può attendersi dalle assicurazioni sociali, possa farsi un piano personale di spese e di risparmi adeguato ai suoi particolari bisogni.

50.
La prevenzione dell’ozio imposto dalla disoccupazione di massa è un compito ben diverso.
Una legislazione particolareggiata non è necessaria né utile.
E’ un problema di adattamento della azione dello Stato alle libere attività dei cittadini dello Stato stesso e alla politica degli altri Stati.
Esso implica una importante decisione di principio – l’accettazione da parte dello Stato di una nuova responsabilità verso l’individuo – e l’istituzione di un organo statale con poteri adeguati per assolvere a tale responsabilità.
Ma la condotta che questo organo deve seguire non può essere stabilita in anticipo.
[…] il perseguimento della piena occupazione non è simile al volo guidato di un aereo secondo un’onda radio direttrice: è una difficile navigazione, il cui corso deve essere guidato manovrando tra correnti e forze mutevoli, imprevedibili e in larga misura incontrollabili.
Tutto quel che può farsi è di procurare che il pilota disponga dei comandi necessari e di uno strumento di bordo che gli indichi quando e come deve usarli.
E’ inoltre necessario che il pilota abbia sempre la volontà di usare i comandi per mezzo dei quali soltanto può arrivare a destinazione.


__________
Note:
1 Questa definizione è tratta dalla Dichiarazione del Nuffield College su Employment policy and Organisation of Industry after the War. La Dichiarazione aggiunge che la piena occupazione in questo senso “non può essere raggiunta compiutamente fintantoché esistono squilibri strutturali che necessitano di essere corretti”.


[FINE]


* Ho omesso i riferimenti alle diverse parti della relazione contenuti nell’introduzione. Le omissioni sono indicate con […].



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